BICE LAZZARI

BICE LAZZARI - Biografia

Figura isolata e solitaria, Bice Lazzari , che nasce a Venezia nel 1900, inizia dallo studio del segno per approdare, negli anni del secondo dopoguerra, alla pittura Informale e materica. Le sue opere danno vita ad un astrattismo venato di poesia, ma mai lontano dal proprio interrogarsi strutturale, ad una impennata informale che ebbe anche un suo momento materico fino ad una astrazione più complessa e rarefatta.
Trasferitasi a Roma nel 1935, l’artista realizza pannelli decorativi in collaborazione con architetti e approda, infine, negli anni Cinquanta, ad un tipo di produzione collocabile nell’ambito materico e informale.

Bice Lazzari crea un modo di utilizzare le materie del tutto personale, perennemente in bilico tra il lirismo del segno e le istanze più concrete della materia. É una delle figure più anomale della sua generazione, oltre alle opere realizzate prima della seconda guerra mondiale, attraverso i grandi cicli di decorazione, gli oggetti, i tessuti, mosaici o pannelli eseguiti per importanti studi d’architettura, il suo linguaggio passa
lentamente da una costruzione razionale ad una decostruzione determinata dello spazio del dipinto, fino ad una dissoluzione delle forme e ad un uso delle materie, come sabbie, gessi e colle. “(…) Nei quadri amo la luce, lo spazio, il rigore, la struttura, la sintesi…e un po’ di poesia. Non mi appartiene il neofigurativo, sempre secondario, aneddotico”, così scriveva Bice Lazzari della sua opera.

Conobbe Cagli, Capogrossi, Licini, Melotti, ed entrò a contatto non solo con con le correnti artistiche più importanti dell'epoca, ma anche con quelle dell’architettura, come l'ambiente di Gio’ Ponti. Bice Lazzari sviluppò ricerche artistiche in grado di conciliare un gran numero di tematiche in parte antitetiche tra loro: ordine-disordine, forma-informe, organico-inorganico, disegno-materia, comico-tragico, elaborando una
variegata cromia che si distende in superficie, e al tempo stesso accenna a diversi livelli di profondità. La sua posizione nel quadro dell'arte contemporanea si mostrò unica, sia per la levatura poetica e stilistica dei suoi lavori, sia per la sua indipendenza dalle condizioni di gusto che regolavano le correnti artistiche del suo tempo. Il suo desiderio di modernità, che non vive con ansia giovanilistica bensì come qualcosa di connaturato alla propria personalità, tuttavia, non la vede attratta neppure dal dilagante Futurismo, la interessa piuttosto l’Astrazione, di cui, sia pure in tono più dimesso nella sua città, ancora epicentro di cultura Mitteleuropea, giungono diversi segnali. Ne è riprova il fatto che pur proseguendo ancora a lungo le prove in un modo o nell’altro “figurative” (vicine di volta in volta a Mafai, De Pisis, Campigli o Sironi) i suoi primi tentativi astratti (1925-26) risultano straordinariamente precoci e slegati dal lavoro dei gruppiche, solo più tardi, si muoveranno compatti in tale direzione.

Il fenomeno appare ancora più singolare e ce la presenta, pur nel suo relativo isolamento, come una delle personalità più originali del momento. Bice Lazzari, comunque, non ebbe mai un 'adesione totale neanche all'arte astratta, sebbene la sua arte si avvalesse marcatamente dei principi compositivi di tale corrente artistica, restò, invece, sempre affascinata da un certo tipo di figurazione che, accanto all'assoluta libertà compositiva determinò una ricerca dualistica che le servì per sviluppare una poetica tutta personale che consisteva nell'amalgamare i risultati di una ricerca puramente lirica ma legata alle teorie della percezione, ai risultati di una libertà compositiva che dieve vita ad una realtà misteriosa, carica di angoscie e contraddizioni. L'opera di Bice Lazzari, quindi, diventa una testimonianza reale sulla condizione umana, ma si tratta di rendere visibile un'immagine creata tramite fasci e combinazioni di linee orizzontali e verticali, circonferenze, tracce, materie, spazi, segni ed altri motivi derivati da un procedimento di pura creazione e che per l'artista costituivano un reale collegamento tra spiritualità del pensiero e creazione visiva. Del resto la stessa Bice Lazzari, non intende mai l'astrattismo come qualcosa di totalmente separato dalla realtà. Poichè noi ci formiamo continuamente, giorno dopo giorno, vivendo immersi nel mondo che ci circonda, tutto ciò che sentiamo non può essere che la nostra reazione emotiva di fronte alla realtà: “io sono astratta con qualche ricordo” dice Bice Lazzari. Anche quando nelle sue opere sembrerà prevalere la liberà invenzione, questa sarà determinata da spunti esterni, qua e là riconoscibili, pur trasformati dalla memoria. La sua cultura visiva è vasta: conosce l'arte italiana, quella tedesca e francese.

Tutto questo le permette di creare una base culturale sulla quale può costruire il suo mondo figurativo, mantenendosi tuttavia al di fuori di qualsiasi corrente organizzata. Studia all’Accademia di Belle Arti di Venezia che interrompe per un breve periodo quando la famiglia si trasferisce a Firenze, ma che riesce comunque a terminare al suo ritorno nella città lagunare nel 1918. Conseguito il diploma comincia la trafila dei suoi espedienti per rimanere libera di dipingere a suo modo ciò che vuole. Bice Lazzari infatti non è interessata all’accademismo che le è stato inculcato e al tipo di committenza che ne potrebbe scaturire. Intuisce sin dai suoi esordi le enormi possibilità del colore, che scopre come vero e proprio linguaggio. La sua pittura è legata al reale ma ad un reale che si trasforma; le cose, il mondo delle cose, per associazione, determinano una forma nuova. Bice Lazzari sembra ricevere dall'esterno il visibile e trasmette dalle sue opere l'invisibile. Del resto nelle pitture di Bice Lazzari, come quelle di altri astrattisti, è spesso riconoscibile uno spunto tratto dalla realtà esteriore, vista al microscopio invece che a occhio nudo secondo la nostra abitudine giornaliera. Si tratta forse di collegamenti inconsci, tali però da confermare l'asserzione che l'uomo non può immaginare niente che non esista già in natura. La pittura di Bice Lazzari, comunque, è raffinata, intellettuale, rarefatta; spesso allusiva e simbolica, evocativa, suggestiva.

Dai suoi studi deriva l'importanza della linea: il segno che si articola e si coordina ad altri segni crea il motivo poetico che si unisce indissolubilmente al colore e così, Bice Lazzari “la grande signora dell’astrattismo” nel 1959, aveva dovuto chiudere il periodo della pittura ad olio per un grave avvelenamento. Dopo l’accademia frequenta un corso di grafica, e lavora contemporaneamente in uno studio di architettura e, per permettersi il lusso di dipingere dovette spesso disporsi "a fare l’artigiana", come lei stessa afferma, riflettendo a posteriori sulla sua carriera artistica. Infatti, sebbene essa avesse esposto a Ca’ Pesaro dei pastelli astratti già nel 1925, la sua ricerca innovativa passò sotto silenzio, tuttavia alcune sue opere, come "Armonia del Giallo" testimoniano come la pittrice seguisse, negli anni Venti, i suggerimenti della geometria e dei segni, sia liberi che scritturali, in una soluzione formale che privilegiava la nonfigurazione.

E così anno dopo anno esplorerà il passaggio e la trasformazione dallo “standard artistico straordinario” alla “normale eccezione”, l’orizzonte “eretico” di Bice Lazzari viene espresso dalla ricerca di nuovi valori, esprime in realtà il ridimensionamento del concetto di standard come base della normalità, per rilanciare nuovi punti di vista, nella direzione di una sperimentazione permanente che evita provocazione e trasgressione, per trasformare la normalità in un percorso di eccezioni. In particolare, nel mondo dell’astrazione il filtro della sensibilità personale diventa una potente chiave interpretativa del reale: una sorta di rivoluzione sommersa, non cercata e non voluta, che apre la strada a nuove forme sperimentali della pittura, così come di relazione e di convivenza, che definiscono un orizzonte eretico. In particolari occasioni mi torna il ricordo di un noto scultore svizzero, sostenitore della teoria del pericolo “eredi di artisti”; i quali, per estraneità, il più delle volte, dalla vita quotidiana di un creatore con tutte le implicazioni di amori, tensioni, scelte, affinità elettive e di gestione del proprio lavoro, sono completamente impreparati al ruolo - rivendicando, nello stesso tempo, di essere i nuovi protagonisti della scena. Per cui sosteneva che gli artisti non dovessero avere eredi per convenzione. Remo Rossi è morto prima che anche il mercato dell’arte assumesse nuove metodologie più legate alle mode ed ai clamori maxmediatici. Tutto deve essere evento. Lo stupire del nuovo contrapposto allo stupire dell’essere. Il manifestarsi nell’abbaglio di una vetrina e non più nelle incerte armonie del mistero.

A volte con dietro il nulla. Da queste riflessioni nasce l’idea di riproporre il lavoro di BICE LAZZARI, artista riconosciuta come la donna più importante dell’astrattismo italiano, malgrado il silenzio distratto che l’ha circondata in questi ultimi anni. Tale silenzio, sicuramente, è dovuto - in parte - alla non accettazione di quanto disposto dall’artista, con mandato esclusivo di lavoro a questa galleria; interferendo, così, alla divulgazione del prezioso lavoro di Bice Lazzari, che solo chi se ne è occupato con continuità, competenza e amore può fare. Questa mostra intendiamo proporla ai giovani collezionisti e a quelli che non hanno avuto l’occasione di conoscerla veramente. Una lunga storia di amore e complicità intellettuali, quasi un’avventura di vita condivisa, mi lega a questa protagonista dell’arte italiana del secolo scorso. Sono particolarmente felice di condividere l’orgoglio e la gioia di questa mostra con mio figlio Flavio, proiezione nel futuro di una concezione di mercato d’arte fatto di amori, di scelte e proposte non rinnegabili.