Il punto sulla singolare produzione artistica di Gabriele Maquignaz. ARTE E PALLOTTOLE. Con un fucile calibro 28, spara sulle tele su cui pone contenitori di colore.
Nel testo introduttivo al catalogo “Big Bang”, edito per la personale di Gabriele Maquignaz (Aosta, 1972) alla Lattuada Gallery di Milano, Guido Folco scrive che l’artista cerca di sovvertire l’ordine espressivo del nostro tempo, con il coraggio e l’incoscienza, certo misurata, del visionario. La sua ricerca, a partire dagli ultimi anni del secolo scorso, “si pone in tra spiritualità e superamento della materia” che sottende a una sensibilità per l’atto creativo che va oltre la dimensione ar tistica. Del resto, il luogo che Gabriele ha elett o a suo rifugio e dimor a (nel silenzio delle valli ai piedi del C ervino) spinge verso una riflessione profonda su ciò che signific a esistere. L’interrogativo della creazione affascina l’essere umano da sempre, per le sue c onnotazioni estetiche e, soprattutto, per quelle più complesse sul significato della vita. Il rapporto con il divino nell’atto creativo - nel nostro caso un’opera d’arte - persiste fortemente nell’atto che nell’autore che lo realizza come nell’oggetto prodotto, investendoli di una eguale mistura di attrazione e terribilità. Accolto dalla
pace della sua montagna, Gabriele Maquignaz riflette sull’impossibilità dell’uomo di sostituirsi a Dio. Ecco, quindi, il gesto esploso mediante il fucile calibro 28,controllato con mano ferma e regolata quale emblema di un’innovativa tecnica artistica. Posiziona la tela a una giusta distanza, con una corretta inclinazione e il colore in contenitori aderenti alla superficie,in attesa di essere colpiti dal proiettile e liberare il loro potere. Per dirla con Philippe Daverio, una “gestualità oggettivamente crudele (che) si riscatta in un afflato mistico”. Altrettanto similmente rileva Flavio Lattuada che “lo sparo, da atto violento, nocivo, letale, diviene con Maquignaz il gesto creativo per eccellenza, e la tela perforata, ferita e gremita di colore si trasforma in un passaggio per cogliere l’eternità dell’universo”. Ma qui l’uomo si ferma. Il controllo si limita alle intenzioni mentre è poi il caso a fare il resto. Da qui prendono vita gli squarci
incontrollati dal sapore spazialista, da qui nascono le sue imprevedibili sovrapposizioni di tonalità: Maquignaz giostra così a metà strada tra l’accelerazione metafisica e l’empatia informale, tra una rinnovata ricerca spaziale di stampo storicista e l’(in) coscio espressivo del gruppo Gutai, così come di quell’action painting che travalica l’idea di controllo per agire in completa autonomia gestuale (anche se sappiamo che non era proprio così). Dunque, il momento di una creazione intesa nel più profondo senso concettuale. L’estetica sarà solo un’evidente e inevitabile conseguenza, molto sarà frutto di una maniacale strutturazione progettuale. Tutto il resto è arte.
10.03.2023