La definizione più calzante di Diafanità, abbraccia una preziosa, quasi incorporea delicatezza, associata per lo più ad una trasparenza alabastrina;
esilità, fragilità, sono i sinonimi che accompagnano la descrizione di questo stato etereo che pone l’ opera d’ Arte su un piano legato
al Sogno Metafisico.E certamente è questo a cui pensiamo quando parliamo di ‘ sfumato leonardesco’ in merito alle teste leggiadre di angeli e madonne che la vasta produzione a biacca e matita del Maestro di Vinci ci ha restituito: senza la tecnica della sfocatura lieve del dipinto, ottenuta attraverso
le dita o una pezza di stoffa oppure, a opera ultimata, attraverso una velatura lieve ed omogenea di colore diluito nel legante con il fine di
ammorbidire i lineamenti dei volti, non sarebbe possibile rendere il soave effetto chimerico dell’evanescenza. E’ un lavoro immenso: ma eravamo nel Cinquecento, e sognare di fissare lo Spirito su carta o tela era ancora possibile. Chiusa però, dopo secoli di tecnica pittorica sublime, la stagione del Bel Disegno, del Bel Tratto, del ‘ Beau Geste’, il Novecento ci ha proiettato nell’ Arte Astratta,facendo sparire, prima di tutto, la figura di Christo dai soggetti prescelti: da lì in poi, santi, dame, muse, angeli, fino ad arrivare agli uomini,han ceduto il posto alla più totale assenza di tratto, di contorno. Una catastrofe per la Bella Maniera, che da allora è rimasta orfana, vedendo ovviamente il declino del Figurativo a tutto tondo, anche nella Natura e nel Paesaggio.
E’ pertanto con una grande emozione che questa mostra, assieme all’ Opus Magna tutta di Omar Galliani, viene accolta da chi scrive: perché
era dal 1500 che non vedevamo più l’ angelico tratto accompagnato dallo sfumato, e che questo accada proprio quest’ anno, nei 500 anni della
morte del Genio Di Vinci, ci pare quasi un Segno.L’ Arte sta passando una fase di crisi acuta, in cui gli stilemi imperanti dal dopo Fontana o dal dopo Warhol ( ‘Art is Business’, disse il patron dello Studio 54, nel serigrafare in serie le sue Marylin e la sua Edie Sedwick ), sono entrati in un trend discendente: riteniamo quindi che presto il pubblico, cercando rifugio lontano dalle crisi economiche, vorrà rivedere il Ritorno alla Maniera, al Bello Apollineo, alla tecnica d’ Arte Veritiera, realizzata senza ricorrere a stranezze o artifici poco credibili: pertanto, il recupero di quella lezione che fu del Sublime Classico in
Arte operato dal Maestro Galliani, lo premierà ancora di più di quanto già la critica, e gli Uffizi che gli hanno dedicato un catalogo nel 2018,
hanno fatto. Del resto, in un’ epoca dove l’ immagine umana, specie quella perfetta, sfumata, classica, era sparita, Galliani non poteva non far parte del
gruppo degli Anacronisti e del Magico Primario, che hanno rifiutato totalmente di soccombere ai nuovi dictat astratti: se è vero che ha fatto
sua la lezione principe dello sfumato leonardesco, lavorando moltissimo con i pastelli e le matite, velando il lavoro di una patina di ‘ dulcedo’
rinascimentale, è anche vero che i volti di Galliani sono modernissimi, i profili sono molto diversi dalle bellezze molli delle corti umanistiche,
sono volti eleganti dagli zigomi regolari, come si potrebbe vederne nelle foto di moda su “ Vogue”; e il colore primario, che sia blu, o rosso, le
accompagna sempre, dando così la sensazione che il Maestro voglia tornare non solo alle origini, ma anche all’ essenzialità.
Una grande dote, questa, di voler coniugare la lezione antica del Bello Apollineo, con la forza evocativa del colore primigenio e con il tratto
moderno, quasi grafico, di visi di donne attuali, quasi sempre ritratte con espressioni estatiche, trasognate: mescolando il Cinquecento con la
Contemporaneità, Galliani va alla ricerca di una sintesi che riporti in auge la Figura con tutta la sua intensità determinata dal lapis, una Figura
che trascende il Tempo ma è anche calata ai nostri giorni.E a proposito della matita, uno degli strumenti pittorici più semplici, più economici, e quindi essenziali, primigeni, non di rado il tratto non viene completato, ma lasciato plasticamente fuggire dentro l’ ombra, quasi a voler dare, con poche semplicissime righe, il senso di tutta la composizione: Galliani in questo assorbe non solo la cura delle velature leonardesche e la morbidezza di tratto di un Raffaello, la dolcezza compositiva di un Perugino, ma si cimenta anche con le asprezze di quel non- finito michelangiolesco che si notava bene nelle sculture lasciate a metà del grande padre delle tombe dei due Medici: si prenda l’ idea fugace del dittico di ‘ Disegno Siamese’, pastelli e matita su tavola di
pioppo- oltre al’ inedito supporto scelto, balza subito all’ occhio la velocità di tratto, la sicura precisione, le brevi righe che tratteggiano i capelli,
il collo, il profilo, senza terminarlo.Laddove il Maestro decide, come in ‘ Oltremare’, di agire nel dettaglio, è così talentuoso da trasformare la sua opera quasi in una fotografia in bianco e nero all’ albumina, come se ne vedevano nelle pose di Félix Nadar; ma laddove decide di essere estremamente sintetico, quasi brutale, con pochissimi schizzi non finiti, rende appieno tutta la tensione di un volto, di un corpo, di un movimento, si veda anche ‘ Nuovi Fiori’,
dove la composizione è così delicata e minimalista da sembrare quasi fatta su carta di riso. C’ è in Galliani perfino una lezione simbolista, come si può notare in certe opere calate tra stelle immaginifiche in ‘ Nuovi Santi’; e che dire di quei suoi angeli, che nella loro perfetta ascesi blu, hanno una sola ala rosso peccaminoso stilizzata, ed emergono da un fondo senza luce, illuminando essi stessi la scena grazie ai loro chiaroscuri? E’ più un penombrista che un chiaroscurale, è vero: ma le sue donne- angelo hanno sia l’ innocenza del canone rinascimentale, che la sfrontatezza della modella contemporanea vista nelle pubblicità di profumi dai nomi seduttivi e velenosi. Galliani è questo: antico nella modernità, innocenza nel peccato, voluttà nell’ apollineo, schematicità nella velatura, potenza nella fragilità,sogno nell’ ombra… è l’ Ombra nell’ Acqua, lo yin nello yang, il colore primo nel tenue pastello, la Dualità Perfetta e Poetica di chi sa unire ciò che, senza un Tocco dell’ Arte, non starebbe mai insieme.
10.02.2021