LA PIEGA IN-FINITA , NELLA PITTURA DI CESARE BERLINGERI

“La piega infinita passa fra due piani. Ma, differenziandosi, si disperde da entrambe le parti: la piega si differenzia in pieghe, che s’insinuano all’interno e fuoriescono all’esterno, organizzandosi in questo modo come l’alto e il basso. Ripiegamenti della materia sotto la Nspecie di esteriorità, pieghe nell’anima sotto la specie di chiusura. Ripiegamenti della partitura e pieghe del canto”.
Gilles Deleuze, La piega. Leibniz e il barocco, trad. it., Einaudi, Torino 1990, p. 54
Ha lavorato anche come scenografo e costumista. Ma soprattutto, Cesare Berlingeri ha sempre cercato di mettere le ali all’immaginazione e alla creatività; sforzandosi, forse, di disegnare qualcosa come una vera e propria “parentesi”; che consentisse alla vita di riconoscere in primis la propria sacra inviolabilità.Sì, perché, di norma, la vita ‘vìola’ ogni segreto, così come supera ogni ostacolo, e procede indefessa…non a caso, nulla, mai, ci disponiamo a lasciar essere – ma tutto finiamo per comprendere, trasformare e migliorare… e trattiamo come una vera e propria piattaforma di lancio verso un futuro che, almeno potenzialmente,vorremmo capace di sfondare il confine che ci separa, inflessibile, dall’infinito. Fermo restando che quello così intensamente bramato è un infinito già da sempre risolto in mera e rigida “totalità”.Infatti, è sempre il medesimo “tutto” quello che la vita vuole di fatto guadagnare, si da potersi una volta per tutte liberare dal “limite” che insiste a restituirci la nostra imperfettibile “parzialità”… o “finitezza”, che dir si voglia.
Certo, è ben strana la vita: vuole guadagnare il “tutto”, e cerca disperatamente un gesto che sappia farsi “definitivo”, ma che, proprio in quanto tale, ci riconsegnerebbe a quel limite che tanto ardentemente avremmo voluto negare, o meglio ancora superare. Costringendoci alla sua reale definitività o
insuperabilità.Sì, è proprio strana la vita… vuole quello stesso da cui sembra per altro verso volerci liberare.Perciò merita di essere messa tra parentesi… contemplata, e quindi riconosciuta nella sua inguaribile assurdità.Cioè, merita che si trovi il modo e il tempo per lasciarla essere, finalmente…. nella sua sacra e già da sempre guadagnata in-finitudine – in conformità ad una sempre perfettibile imperfettibilità. Affidandola da ultimo a quell’infinito potenziarsi che, solo, disegna il nostro unico vero e proprio limite. In virtù del quale,per l’appunto, nessun limite (determinato) potrà mai dirsi davvero “ultimo”. Se è vero che proprio da questa impossibilità di riconoscere un qualsivoglia limite come “ultimo”, potremo mai, e in alcun modo, liberarci.Eccolo dunque, il nostro unico e ‘paradossale’ limite… quello che dice appunto il non poter essere per noi “ultimo” da parte di alcun limite.Questo, lo scenario cui sembra aver voluto da sempre guardare, quasi misticamente, Cesare Berlingeri.Lo stesso in cui, a dirsi, è sempre e solamente la vita; la vita, cioè, nel suo piegarsi infinito sempre oltre se medesima (sempre oltre la propria contingente datità) – ma il cui piegarsi dice da ultimo il suo semplice e intrascendibile ripiegarsi su di sé; senza fare mai un passo avanti.Perché questo è la vita; riconosciuta nel suo piegarsi coprendo incessantemente quel che, di essa, sarà in ogni caso sempre già stato; e che da ultimo finirà per ripetere – ripiegandosi – nient’altro che la sua stessa paradossale piegatura. Una vita che nulla mai oltrepassa davvero, dunque; così come nulla copre, se non parzialmente, ma soprattutto provvisoriamente.
In questo senso, anche l’apparente monocromo di Berlingeri sta a dimostrare che nessun bianco è solamente bianco e che nessun blu è solamente blu. Perciò l’artista calabrese affida l’apparente quiete del singolo colore – astratto, semplice e ipostatizzato – al movimento di un tempo che, solo, avrebbe potuto in qualche modo ‘piegarlo’; piegandolo e muovendolo in virtù di un sommovimento impercettibile che, brulicante sotto la sua quiete apparente, ci parla proprio dell’invisibile… di un invisibile già da sempre intento ad insufflare il proprio incoercibile spirito di vita sulla morta datità di quel che sembra comunque darsi a vedere.Certo, colori puri e fondamentali sono i suoi; parole mute di un fondamento che, “pur piegandosi” alle leggi della visibilità, sembra riuscire a manifestarsi, anche senza trovarsi costretto a rinunciare ad alcunché della propria sconfinata potenza. Parole mute che comunque non vengono incorniciate dall’opera – essendo proprio quest’ultima, piuttosto, a lasciarsi incorniciare dal reale… ossia, da una realtà sempre “impura”, in
quanto frutto di mescolanza e confusione. E sempre volta ad indicare se medesima come pura ‘piega’; esibendo per un verso la propria vera natura, ma riuscendo, per un altro verso, a farsi rappresentare finanche dalle ferite determinate e oggettivate che ne disegnano silenziose la trama… facendosi, in ogni caso,mappa di un mondo disperatamente agognato nella sua interezza. Ma saldamente ancorato alla sua inabbracciabile ‘parzialità’; che non potremo mai stringere tra le braccia, se non circoscrivendone i fantasmi di cui solo l’opera può farsi reale portatrice e gelosa custode. Quelli stessi che Berlingeri continua ad evocare come un vero e proprio officiante; attento al proprio rito, alle sue regole, ma soprattutto al mistero di cui sa di dover ogni volta far rivivere l’irrinunciabile incanto e l’inesauribile “necessità”.
 

29.01.2021